“E allora intanto andiamo, che poi per arrivare c’è sempre tempo.”

Non ricordo il momento esatto in cui ho fatto questa scoperta.
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Cioè, non ricordo a quale periodo si riferisce la presa di coscienza di una delle poche (ma ferme) certezze della mia vita: VIAGGIARE.

Così, con il verbo all’infinito. Come le volte che senza indugio salirei su un treno, un aereo o in macchina con valigia al seguito, pronta per andare in avanscoperta.

Non ricordo il momento esatto ma fin dove ho memoria…è così da sempre.
Sms e fiumi di mail prima, logoranti ma funzionali gruppi su whatsapp dopo
(con tanto di: proposta di meta / giorni ed orari di partenza ed arrivi /costi ed aggiornamenti…della serie “rompipalle sì, ma con metodo e grado di dettaglio elevatissimo“!) sono la testimonianza di questo amore incondizionato.

E il conto in banca è la prova che 9 volte su 10, vuoi per entusiasmo per curiosità o semplicemente per sfinimento, la risposta al mio “prenotiamo?”...è positiva! 

Motivo per il quale, da qui ad un mese l’agenda dice VARSAVIA – TORINO – AMSTERDAM!
Motivo per il quale…trovatemi un secondo lavoro o finirò sul lastrico! (mmm…vagabonda, perchè no?! 🙂

Ma se i viaggi in progress sono 3…molti, troppi di più, sono quelli che sogno di fare.
Così, quando qualche giorno fa ho letto che “la differenza tra un sogno ed un obiettivo, è una data” ho pensato di buttar giù questa lista dei desideri.
Che sia un supporto per pianificare e prenotare…e che sono sicura di incrementare nel tempo, ma le cui voci spero di depennare una dopo l’altra in ordine sparso.

Insomma… Prenotiamo?! 🙂

1. Giappone – durante la fioritura dei ciliegi
2. Avenue Verte (ovvero: Parigi-Londra in bici)
3. Paesi Baschi on the road
4. Thailandia
5. Grecia in motorino (memo: ricordati che ancora non lo sai portare. Ok facciamo in quad)
6. Rio de Janeiro – possibilmente durante il carnevale
7. Partecipare alle prossime Olimpiadi
8. Guardare da vicino un canguro, in Australia
9. Coast to Coast in U.S.A
10. Tornare a Parigi per la 4° volta
11. Feria de April a Siviglia
12. Visitare le 5 regioni di Italia ancora mai viste (quindi la Basilicata esiste sul serio?)
13. Cipro (e dare un volto ai racconti di Silvia)
14. Amsterdam (28-30 Novembre…arrivo)
15. Finire il mio on the road in Sicilia
16. Capodanno in un posto qualsiasi della Spagna o del Portogallo e mangiare 12 chicchi d’uva
17. Istanbul
18. Fare un hammam a Marrakech
19. Tornare a Londra
20. Varsavia (18-20 Ottobre…manca poco)
21. Nuotare con i delfini a Malta
22. Cammino di Santiago
23. Vedere un esemplare di Beluga in Canada
24. Mangiare un piatto di amatriciana ad Amatrice
25. Oslo
26. Salire sulla statua della libertà
27. India – zaino in spalla
28. Mangiare un fritto misto piemontese (2 anni a Torino…che vergogna!)
29. Cascate del Niagara
30. Visitare tutti le nazioni europee
31. Corsica on the road
32. Pompei ed Ercolano
33. Ninfa a Latina (quasi, quasi domani…)
34. Tornare a San Pietroburgo durante le notti bianche
35. Ivrea durante la battaglia delle arance (e dare una soddisfazione a Filippo)
36. Weekend tra i colli umbri
37. Guardare una partita di NBA al Madison (Memli questa è colpa/merito tuo)
38. Portogallo on the road
39. Tornare a Barcellona e godermela.
40. Napoli sotterranea (quando Max?)
41. Assistere ad un musical a Broadway – Il Re Leone?
42. Visitare l’ultima villa di Tivoli che non ho ancora visto
43. Pennabilli per il buskers festival
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4. Tornare a Monaco per l’oktoberfest (e non una settimana dopo)
45. Costiera amalfitana
46. Normandia (e dare un volto ai racconti di Gerry)
47. Andare in crociera
46. Tour della Turchia in caicco
47. Tornare in Malawi
48. Mangiare cibo cinese in Cina
49. Visitare il Moma
50. Scozia
51. Dublino durante il S. Patrick’ day
52. Fare un interrail
53. Visitare Praga
54. Andare a Trieste
55. Arrivare in Svizzera con il Bernina Express (ovvero: il trenino rosso)
56. Partire sola per un Viaggio
57. Vedere l’aurora boreale
58. Fare un viaggio in autostop
59. Andare in Messico
60. Venezia durante il redentore
61. Copenaghen
62. Visitare tutti e 5 i Continenti
63. Sri-Lanka
64. Fare un viaggio in moto
65. Kenya
66. Guardare una piramide da molto vicino
67. Polinesia (con tanto di tatau)
68. Cous Cous Festival a San Vito Lo Capo
69. Bere rum cubano a Cuba
70. Sperimentare la cucina libanese in Libano
71. Giro delle 7 chiese a Roma
72. Isola del Giglio
73. Dormire in un motel negli Stati Uniti
74. Tornare in Salento per la notte della taranta
75. Taormina
76. Tour delle Cicladi
77. Salire sull’ Orient express
78. Completare la Transiberiana
79. Svegliarmi a Singapore
80. Tornare a Cordoba
81. Rotterdam
82. Nuova Zelanda
83. Andare a trovare Gianni in Canada
84. …..Continuare ad avere tutto questo entusiasmo e non smettere mai di aver voglia di viaggiare…
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AntiCafè, via Veio 4b.

Non è un bar e nemmeno un internet café.
È recensito da Tripadvisor come uno tra i migliori 100 ristoranti d’Italia.
Ma non è nemmeno questo.

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È l’AntiCafè.
Roma, via Veio 4B, zona San Giovanni.

Il luogo adatto per trascorrere del tempo davanti dispense universitarie, un pc o una buona lettura.
Un “all you can stay” dove non paghi la connessione wi-fi, e nemmeno il caffè.
Esatto, non paghi per mangiare ma per stare.
4 euro per la prima ora, 3 per quelle successive.

Il luogo migliore per l’appuntamento di 3 amici e l’occasione giusta per festeggiare il successo di chi è entrato a tutti gli effetti nel mondo dell’architettura (congratulazioni Amica mia)

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Apriamo il pc ed inizia la nostra chiacchierata.
Non prima di esserci assicurati un buon tea tra le scelte proposte.
(E non prima di aver riempito il vassoio di biscotti e crostatine varie “ragazzi a pancia piena si ragiona meglio!”)
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Scambi di idee, scoperte di prodotti improbabili, ma che funzionano.
(A proposito, avete mai provato a bere da una bottiglietta…formato A4? ora è possibile, grazie a Memobottle.)
Il nostro è un brainstorming libero. Ci facciamo tante risate e senza nemmeno accorgercene sembra di stare a casa nostra: Stefano si alza, prende l’acqua dal frigo, posa le posate sporche (dopo il dolce, passiamo al salato, w le nachos, etc etc!)

E guardandoci attorno, è così un p0′ per tutti.
Sembra di vedere tanti tavoli con tanti piccoli micromondi dove le storie si sfiorano, a volte si incontrano e altre coesistono e basta.

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Ma sarà per l’ottima compagnia, ormai consolidata da anni, o per l’atmosfera alla quale non poter chiedere di più… che ci giriamo un attimo e ci accorgiamo di essere rimasti soli mentre i ragazzi del locale hanno iniziato la chiusura.
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E così ci ritroviamo a scambiare una chiacchiera con uno dei proprietari, che ci racconta questi primi 3 mesi di attività.
Il primo mese stavamo 14 ore al giorno a guardarci in faccia! Non entrava nessuno. Pensate che una volta mi sono ricordato che ci fosse da mettere a posto il magazzino e sono andato a farlo in sordina per paura che qualcuno lo facesse prima di me! Ci annoiavamo a morte…”
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E’ bastato qualche articolo su internet la viralità che solo i social network sanno regalare, un servizio al tg e del sano passaparola… che ad Agosto è stato record di presenze “dovevamo mandar via le persone“, ci dice.

Purtroppo nei racconti del nostro interlocutore, ci imbattiamo anche nell’ostilità burocratica di questo Paese che spesso mette i bastoni tra le ruote ad iniziative come queste che rappresentano un’opportunità per i tanti freelance (ahimè, già parecchio ostacolati da un sistema non del tutto funzionante), ma per fortuna scopriamo che il bilancio di questi primi 3 mesi è assolutamente positivo.
E si scorge dalla voglia e la passione con cui a chiusura inoltrata, ci racconta ancora dei piccoli aneddoti di queste settimane.

Ci guardiamo ancora un pò attorno e vediamo che ci sono delle fotografie esposte.
Io e Viviana, in simbiosi come sempre, chiediamo se affidano i loro spazi in maniera gratuita per esporre… e la risposta non può che essere un fragoroso Sì.
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Anticafè è una realtà nuova in Italia ma è lo spazio giusto dove mettere in connessione idee, mettere in rete competenze diverse, fare network o semplicemente pensare…al tempo che scorre.

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A proposito…fuori che tempo fa?!

72 ore a Catania

Il rischio di una toccata e fuga in un posto, è che se non riesci a governare la sete di vedere, fare, visitare, scoprire….alla fine succede che ti ritrovi con il costume da bagno a fare la fila davanti al botteghino di una basilica con lo scontrino per un mojito, dopo aver fatto colazione.

Noi non abbiamo voluto correre il rischio: ce la siamo goduta!
Non abbiamo mangiato gli arancini di Savia e dovuto rinunciare all’escursione sull’Etna è vero, ma sono solo due dei tanti motivi per cui torneremo.

Gli altri si trovano in ordine sparso nelle 72 h trascorse in un posto così straordinario.

Diciamo che se penso all’inizio…ricordo di aver temuto per più di qualche minuto di non poterlo raccontare questo viaggio.
Il perché sta nelle pupille dilatate dello steward di Ryanair, nella sua ironia macabra, nell’inglese sbiascicato e nel suo insolito modo di aprire sportelli e cassettoni dell’aereo (ora ho la prova-provata che siamo diretti discendenti delle scimmie)

Ma è andata! (fiuuuuu)
Arriviamo a Catania, troviamo Fabrizio ad attenderci e grazie a lui e alla sua ospitalità iniziamo a familiarizzare con il posto (familiarizzare = mangiare la prima cartocciata di una lunga, infinita, serie, all’ 01:30 di notte)

Ora, per chi non avesse ancora avuto il piacere (RIMEDIATE) una brevissima spiegazione:
“Cartocciata” dicesi uno degli elementi più rappresentativi della Tavola Calda siciliana.
Tavola Calda siciliana dicesi patrimonio dell’umanità!

E’ bastato poco per familiarizzare, e ancora meno per ingrassare quei 2-3 kg che la mia adorata Sicilia è solita regalarmi.
Ma si sa è una terra generosa ed io la amo anche per questo.

Continua il tour notturno per il centro di Catania e finiamo ad Acitrezza con un Mojito espresso e la spiegazione di Tina sulle proprietà benefiche di questa magica pozione del divertimento perchè vedi Fabrizio, il Mojito è un ottimo drenante consigliato da tutti i dottori e soprattutto è un pasto completo: c’è la verdura, la frutta, le proteine dell’alcool…
Ecco tutto si può dire a questa ragazza tranne che non sia convincente.

Giusto qualche ora di sonno in un letto comodo ed ospitale che siamo pronti a ripartire, direzione Lido San Lorenzo.

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Dopo il tour dello scorso anno, che la Sicilia avesse degli angoli di paradiso e delle spiagge stupende non era un segreto, ma ancora una volta, di fronte ad un’Acqua così cristallina non si può non rimanere a bocca aperta.

Se poi ci metti che ho ordinato una brioches con granita di gelsi e panna, la bocca diventa piena e soddisfatta.

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Dopo un bagno, qualche selfie, molti, troppi spritz con il tramonto a farci compagnia ci rimettiamo in viaggio per raggiungere Marzamemi.

E se vi capita di andare, è lì che troverete il mio cuore: un colpo di fulmine continuo con ogni suo angolo.
Un piccolo borgo di marinai dove il tempo sembra scorrere più lento rispetto al consueto muoversi delle lancette.
Una piazzetta dove si respira un’atmosfera autentica e genuina.
I pescherecci arenati al porticciolo, il sole che tramonta piano piano…mi sono innamorata.

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Ma il romanticismo si fa presto da parte per lasciare spazio ad un pò di sana movida Catanese, salutiamo Fabrizio, lo ringraziamo per l’ospitalità e per aver fatto da Cicerone in terra straniera e giusto il tempo di lasciare le valigie nel nostro nuovo nido d’amore che ci ritroviamo nel caos ordinato di Via Santa Filomena.

Ecco, come fai a non amare una città che all’1 di notte ti permette di sederti ad un ristorante ed iniziare a cenare?
Soprattutto se il posto si chiama FUD ed ogni particolare concorre a deliziare i cinque sensi.

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Non ci facciamo spaventare dall’ora tarda e in pochi minuti ci troviamo davanti ad una birra artiginale, un trittico di benvenuto offerto dalla casa e dopo un leggero imbarazzo della scelta tra le specialità della casa optiamo per un hamburger di melanzane.
Mai scelta fu più azzeccata.

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La serata prosegue in scioltezza, molta scioltezza… tant’è che il moscow mule ce lo facciamo da sole mentre decidiamo cosa fare il giorno dopo.

Non so se è merito del cocktail home made, ma non potevamo scegliere programma migliore per la nostra domenica siciliana.

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Dopo una colazione veloce decido di portare Tina da Wine & Charme, un’enoantiquoteca degna di nota (e degna di uno spazio dedicato qui dentro) dove ad accoglierci troviamo il sig. Antonio.
Stavolta lo riconosco subito e anche questa volta è palpabile la passione per quello che fa, l’assoluta dedizione e l’amore per la sua terra.
Forse è anche per questo che quando confessiamo di aver fatto colazione con un cappuccino quasi ci rimprovera: “La colazione a Catania è con granita e Brioche“.
Per redimerci accettiamo il suo il invito ad assaggiare il liquore al pistacchio: anche se sono appena le 11:00 non ce ne pentiamo.

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Così come non ci pentiamo degli altri due consigli che riceviamo in risposta alla nostra richiesta.
Mare e Cena a base di pesce crudo.

La prima domanda ci porta ad Acitrezza.
E dopo un rilassante giro turistico con tanto di pullman a due piani, ci ritroviamo a nuotare tra pesciolini e faraglioni.

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Non potremmo chiedere di più, ma decidiamo di spingerci oltre ed è un attimo che davanti abbiamo un spritz “perchè l’aperitivo è uno stato d’animo” e noi ci sentiamo così: libere e spensierate.

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La stessa libertà con la quale poi a cena ci ritroviamo sole solette all’Ambasciata del mare e decidiamo di ordinare Ostriche, Gamberi Crudi, Anelli, Alici, Scampi, Salmone, Pasta con Pesce Spada, Cartoccio Misto, e bagnare il tutto con un ottimo Etnea Bianco.

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Uno dei momenti più intensi della vacanza.
Non per il pesce delizioso ma per la compagna di questo viaggio.
Per lo scambio, la condivisione, la scoperta di aver provato le stesse paure, per i pezzi di vita simili per quelle risate trasformate in lacrime e poi di nuovo in spensieratezza davanti ad un mojito.

Così si conclude questo viaggio stupendo: con poche ore di sonno, un arrivo all’aeroporto con un autista bizzarro, la perenne acidità di stomaco data dalla dieta siciliana fatta di spritz e cartocciate e la corsa contro il tempo per l’acquisto di un souvenir a base di ricotta e cioccolato.

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Perché si sa… le diete del Lunedi, non hanno mai funzionato!

Milano e la relatività del tempo.

Ultimo viaggio: Milano.
5 giorni vissuti come…10? due settimane? un mese? …boh, cognizione del tempo persa.

Prima tappa: Piazza Gae Aulenti, evento Williams Martini Racing.

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Quei momenti di lavoro che ti ricordano perché lo ami, questo lavoro.
E perchè lo hai scelto.
Ore, settimane, mesi, a lavorare su qualcosa che sembra astratto (o a sentire le tue colleghe farlo, in questo caso)
Sposta la linea, metti il logo più grande, l’Artista è allergico alla moquette cambia albergo
E poi finalmente…BAM!

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XXV Aprile 10
Ti ritrovi davanti a tutto il Lavoro, sembra svanire qualsiasi fatica, riesci a godere delle soddisfazioni, quelle grandi, quelle meritate.

Anche in un momento, come questo, in cui in realtà non lo ricordi così bene perchè hai scelto questa strada…e quindi è tutto un pò in discussione.

Discussione aperta al confronto, con te stessa, con la realtà che ti circonda, con stimoli esterni e nuovi.

E Milano ben si presta a questo. E alla voglia di camminare senza meta.
Brera. I suoi negozi. I concept store. L’aria che si respira.

Un quartiere che sembra uno stato d’animo.
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Ed è in Momenti come questo che amo camminare, macinare km, osservare, catturare per rielaborare o anche solo per godere del momento.
E sono questi i momenti in cui amo passare del tempo da sola.
SOLA.
Perchè l’unico desiderio è poter assecondare i miei tempi e nient’altro.

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Quanto amo quei “dobbiamo parlare” che rivolgo a me stessa.
Che mi fanno andare a fondo nelle cose. Sviscerandole.

Stavolta è passeggiando per Corso Como, dopo l’ultima serata di evento, che ho dato appuntamento davanti ad un caffè, alle mie domande.

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Prima di una full immersion davanti al computer
(Ecco, dicevamo, perchè l’ho scelto questo lavoro?!)
E’ stato bello passeggiare, fermarsi, ordinare il mio caffè e apprezzare un momento di relax, di pace interiore.

Pieno di domande è vero, ma con la consapevolezza, che a prescindere da come e quando, troveranno una risposta.

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Ed ora?
Ora ho tolto il maglioncino dalla valigia e infilato costume e pareo.
La Sicilia mi aspetta.

Il mio viaggio #overtherules con Andrea Cavallo Perin

Immaginate di avere una pentola a pressione con dentro dei colori. Bene, fatela esplodere.
Avete davanti a voi l’immagine?

Ecco, questa è stata la sensazione che ho provato quando ho chiuso la telefonata con Andrea Cavallo Perin.
Una carica di adrenalina. Tanti aneddoti e molti episodi.
Caos disordinato.
Uno scambio di idee e un mucchio di curiosità ancora da esaudire.

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Ma chi è Andrea? è lui.
(Ci sono quelle volte in cui i link possono essere trascurati. Ecco, non è questo il caso: cliccate prima di continuare a leggere!)

15 giorni.
Da Torino fino a Messina , dove ha passato volutamente la notte in spiaggia.
Ma questo l’ho scoperto alla fine. Partiamo dall’inizio.

7 Agosto la condivisione di quel video sulla bacheca di un’amica comune.
Il suo viaggio e la mia curiosità.
Passiamo per facebook. Ti va di raccontarmelo? Certo, sentiamoci al telefono.

Un botta e risposta di presentazioni velocissimo e Andrea inizia a raccontarmi, a raccontarsi.

La cosa bella è che non c’è bisogno di rompere il ghiaccio. Entriamo subito in sintonia.
E lui entra subito nel vivo.
Era di ritorno da una riunione di lavoro “incontro un ragazzo, 20 anni, in autostop tenta di raggiungere la fidanzata che non vede da 8 mesi. Non vado in quella direzione e il passaggio che posso dargli rischia di rendere il suo viaggio ancora più difficoltoso. Sono le 20:00 passate, c’è un’alta probabilità che resti la notte fuori. Così gli offro ospitalità promettendogli un passaggio l’indomani”.

Andata.
Il ragazzo dall’accento simpatico, sale in macchina.

“Passiamo una serata bellissima” mi dice.
Il giorno dopo, quando arriva il momento di separarsi, Andrea prova una sensazione pazzesca, sente di aver fatto parte di un Viaggio, di qualcosa di grande.

Questo pensiero così pazzesco e così intenso, genera però un vuoto.
Ed è proprio questo a trasformarsi in uno stimolo: non riesce ad accontentarsi di quel briciolo di felicità.

Questo binomio di sentimenti contrastanti gli fa compagnia durante il Cammino di Santiago, (che sta facendo in più tranche), tanto da fargli buttar giù la bozza del video.
(L’avevo detto io che dovevate cliccare!)
E sì, è tra quei sentieri che nasce il più bell’esperimento di interazione sociale al quale io abbia mai assisistito.
E non solo io.

18.000 visualizzazioni in meno di un mese.

17 Agosto. Si Parte.

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E il plurale non è maiestatis.
Si parte, partiamo tutti insieme.
Questa esperienza è stata possibile grazie a chi ha deciso di sentirsi parte integrante di questo viaggio.

“Avrei potuto girare semplicemente l’italia in autostop. Ma non sarebbe stato lo stesso.
Quello che desideravo era permettere a più persone possibile di provare la stessa sensazione che avevo provato qualche mese prima.

E così è stato.
Questo viaggio Andrea lo ha fatto insieme a migliaia di persone.
Insieme a chi ha trasformato il like di facebook in un passaggio, i commenti in un pasto frugale e chi ha condiviso offrendo un letto o alla peggio un divano.
Insieme a me che lo sto raccontando, a voi che state leggendo.

Cerco di placare la mia curiosità, ma sento che stanno per partire le mie domande a raffica.

Hai mai avuto ripensamenti?
“mai, e non appena pensavo ad eventuali ostacoli, l’entusiasmo e il supporto di tutte le persone che mi hanno incoraggiato, era sufficiente per rafforzare le mie convinzioni”

Tanti posti, tante persone. Senza pensarci, dimmi la prima tappa che ti viene in mente.
…non riesco, penso a dirtene una ma mi viene subito in mente quella prima o quella dopo…”

Non demordo.
“Ok, se devo scegliere Napoli. Le persone, la città.. ti prende, ti trasporta, ti porta via.”
Come dargli torto.

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Photo Courtesy: Lorenzo Franco

Continuo chiedendogli se l’itinerario seguito fosse già pianificato da casa
Mi dice di no, che ha fatto scegliere alle persone che lo hanno supportato. Che ha scelto in base alle proposte arrivate di volta in volta.

Con un video-buongiorno e senza sapere dove andrà.
E’ così che inizia ogni giornata.

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Ho letto su fb che qualcuno non ha capito lo scopo di ciò che hai fatto. Scrivono che volevi semplicemente farti una vacanza a zero spese…
A chi ha criticato a prescindere, ho cercato di spiegare almeno una volta – almeno una – il perché di questo progetto.
Così è stato insegnato a me: ad ascoltare prima di giudicare. Ma è così, non si può piacere a tutti.

Le parole continuano a scorrere.
Andrea mi racconta un mucchio di cose.
Mi dice che è rimasto sorpreso dal fatto che la maggior parte del supporto è arrivato da ragazzi della nostra età.
Mi racconta dell’esperienza a Campo Martio dove un gruppo di ragazzi si ritrova ogni anno per una rievocazione storica.
“nessuno può portare nessun tipo di tecnologia. Stavolta è stata fatta un’eccezione solo per me. Si da vita ai secoli passati.

Poi mi spiega che ha ricevuto un passaggio da un responsabile marketing di Yoox “una persona molto precisa, rigorosa. Ed io nel lavoro sono così.”
E’ a questo punto infatti, che mi dice che ogni persona che ha incontrato, ha saputo tirar fuori un aspetto diverso del suo carattere.
Che ha incontrato persone molto diverse, che ha accettato il passaggio di Francesco “abbiamo rischiato la vita 3 volte in 30 kmho perso 10 anni di vita!”

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Parliamo di Ascoli, del fatto che inizialmente non avrebbe saputo dove appoggiarsi e che non sarebbe stato un problema dormire fuori. Che poi ha incontrato chi gli ha sapientemente fatto apprezzare il fascino inaspettato di questa città.

Presto monterà un video con queste immagini ed io, non vedo l’ora di vederlo.

Alessia, Lorenzo, Francesco, Jeka, Federico…e quanti nomi poter fare ancora.
Questo di cui avete appena preso parte, è stato il loro viaggio e di tutti coloro che nella vita vogliono sentirsi e vivono #overtherules.
Il viaggio di chi lo ha tatuato, ma anche di tutti quelli che hanno risposto ad una richiesta per decidere come tatuarlo.
Per questo la scritta è rivolta verso l’esterno “perchè tutti possano leggere, perchè l’esperienza è di tutti”

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Tattoo realizzato da Jhon Tatto Studio

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E’ arrivato anche per noi il momento dei saluti.
Ringrazio Andrea. Lui fa altrettanto con me.
Con un sentito e reciproco in bocca al lupo ci diamo appuntamento a Torino.

E’ stata la nostra parte di Viaggio insieme.
Ed ora che ve l’ho raccontato, è senza dubbio anche un pò vostro.

“Il mondo può essere a colori”

Se non ci credete è perché non siete mai stati a Colour park.
Roma. Via Nemorense, 5. Parco Virgiliano.

Una birra, l’amica di sempre e la scoperta che dei semplici pallet possono trasformarsi nei miei pallet preferiti.

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È così che ho scoperto l’amore incondizionato per questo posto.
Ed è cosi che colour park si è trasformato nell’angolo di paradiso di questa insolita estate.

La prima a Roma dopo due anni di assenza.

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Colour park è il progetto realizzato e colorato di chi dei colori non può farne a meno.
È potenziale, idee, musica, esposizioni, il copy-left che piace a me.

È stato per tanti mesi una storia raccontata e per fortuna, è diventato poi lo sfondo di un racconto, uno dopo l’altro, uno diverso dall’altro.

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Si è trasformato in una comica fuga da incontri poco graditi.

La migliore pausa relax del post lavoro, il -1 alle ferie e il luogo dove affogare la depressione al rientro in ufficio.
Dove trovarsi inaspettatamente a parlare di Lamezia Terme, presente nella mia memoria solo per l’aeroporto (della serie “va dove ti porta mamma ryanair”) anestesia, ‘ndrangheta per poi chiacchierare in scioltezza di Oktoberfest, kite surf e delle piazze torinesi (nostalgia nostalgia canaglia:)

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Se sono i colori a fare da sfondo, il sapore è senza dubbio quello del jam session: tequila, cherry, limone e marmellata di albicocche.

Solo una delle eccellenze provate dal menù.

Ma se il rametto di rosmarino che inebria e conquista non fosse già abbastanza, aggiungi le note dei Phildrop a fare da colonna sonora in un live da brivido e la pace dei sensi, è raggiunta.

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In pace con tutti e 5 i sensi.
Sì, così ci sente in questo posto.
E questo è uno dei motivi per cui ho deciso di chiudere qui i miei dieci giorni di intenso festeggiamento.

Ad maiora.
Così c’era scritto sulla torta.
E proprio puntando verso cose più grandi voglio iniziare questi meravigliosi 25 anni.

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La presenza degli amici di sempre, quelli d’infanzia o presunti tali, di chi non avrebbe potuto e invece c’era (come c’è da sempre), un mazzo di fiori con i peperoncini da ‘ccalahbria, un trattamento impeccabile dai padroni di casa, il mio fiore preferito, le foto scattate e regalate, il brindisi a me, a voi.

Se avessi potuto immaginare un festeggiamento perfetto, non sarei arrivata a tanto.
Non ci sono parole, ma GRAZIE è quella che si avvicina di più.

Ps: E niente…poi la serata è finita che ci siamo imbucati ad un matrimonio di gente sconosciuta.
Ma questa, come sempre, è un’altra storia.

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La mia isola felice

All’università impari che esistono i nonluoghi.
Si tratta di quei posti che potresti entrare a Roma ed uscire a New York e non noteresti differenza.

Tutti-uguali-tutto-uguale.

Centri commerciali, grandi stazioni, franchising, catene di alberghi.

Spazi non identitari, contenitori di rapporti precari, luoghi di transito, luoghi dove tutto è simile.
Nonluoghi appunto.

E poi c’è questo posto.

Non lo trovi su nessun libro universitario.
E ogni tanto fatica anche il navigatore a localizzarlo.
Ma esiste.
Il luogo dove tutto è sì uguale, ma a se stesso: è il luogo dell’infanzia.

Che cresce, si rinnova, cambia pelle, ma non si snatura mai. Mantiene la sua essenza.
Il posto che senti come casa.
Che è casa.

È questo il posto del “quanto sei cresciuta” di anno in anno.
Che prima suonava come un complimento ed ora è più che altro una constatazione (amichevole)
Del “sei uguale a tua madre“.
E allora hai la certezza del complimento.

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Ed é in posti come questi che è conservata una verità: di un posto che ti ha vista crescere, cambiare, diventare grande non sei tu a conoscere bene ogni angolo ma è lui a sapere tutto di te.
E quando un posto ti conosce, sa come farti stare bene.

E sa che basta poco.
Sai che basta questo.

Non hai bisogno di altro se non della colazione da Walter, che è lacolazione.

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Della distesa di sassi dove correvi senza farti male.
Dove bastava un pó di fantasia e il sasso smetteva di essere sasso per diventare qualcos’altro.
Dove quindi, alla fine, ti accorgi che non è cambiato nulla.

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È qui, in questo mare, che ho imparato veramente a nuotare.
Qui che ho fatto il primo bagno a mezzanotte.
E sempre qui ho capito che non riuscirò mai a far saltare il sasso sulla superficie dell’acqua per più di tre volte.

Questa spiaggia è il cappello di mio nonno, che cambia colore ogni giorno e ogni giorno mi ricorda che per ogni problema esiste una soluzione.
Sono le confidenze, le scoperte, le chiacchierate, il mare fino al tramonto.
Essere piccoli e diventare grandi insieme. Io e mio fratello. E con noi chi ci ha visto cambiare.
I gavettoni, sfidare le onde, il bagno al largo con il pattino, aver visto crescere Chiara ed ora veder succedere lo stesso con Jacopo.

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Questo posto per me è Isola felice.
È boccata di ossigeno, è respirare aria pura prima di ripartire.
Qualsiasi sia la destinazione.

Ok, sono pronta.

“spassiba” San Pietroburgo

“Quando anche il viaggio, fa parte del Viaggio”

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Questo ho pensato una volta salita sul treno Mosca – San Pietroburgo.

E avevo ragione.

Cuffie nell’orecchio e sguardo fisso al finestrino (ok lo ammetto, eccezione fatta per un pranzo veloce e qualche sbadiglio)
Ma è così che ho attraversato la Russia.
Ed è con questa pace interiore che San Pietroburgo mi ha accolta.

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La Venezia del Nord. Così la chiamano.
Ma io non credo possa essere qualche canale a rendere simili due città così profondamente diverse.
Una cosa peró hanno di certo in comune: la capacità di conquistare.

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E non è stato l’Ermitage con il suo Palazzo d’Inverno a stregarmi.
E nemmeno aver fatto la crociera notturna sulla Neva assistendo all’apertura dei ponti uno dopo l’altro.
Suggestivi entrambi ma entrambi nella lista dei “TO DO ” che ogni buon turista, o presunto tale, stila da casa prima di avventurarsi.

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Piuttosto è tutto quello che non mi aspettavo di vedere, di provare che ha reso questo viaggio così pazzesco.

Perchè pazzesca è l’emozione che non credevo e che invece ho provato nel poter entrare dentro casa di Dostoevskij dove tutto è ancora come lui l’ha lasciato e dove il tempo sembra essersi fermato.

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Pazzesco è stato passeggiare per la sua Prospettiva Nievsky, quella descritta nei suoi libri, quella dove i negozi sono aperti 24ore al giorno, quella che il giovedì è semi deserta e il venerdì si trasforma in un circo.

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San Pietroburgo è alzare gli occhi verso il cielo alle 22:30 e non stupirsi se il sole non è ancora tramontato.

È camminare nella sfarzosità, e trovare la Povertà dietro l’angolo in un mercato improvvisato, timido e spontaneo.

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È stato il coronamento di un sogno: trovarmi davanti l’accademia di Danza Vaganova e pensare di poter camminare sopra lo stesso pezzetto di pavimento delle più grandi etoile al mondo (Svetlana Zacharova così…tanto per dire!) e di poter assistere ad un loro balletto al Teatro Mariinsky.

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Ma soprattutto la mia San Pietroburgo non puó non essere l’incontro con Ivan e le ultime 48 ore trascorse insieme a lui.
Dottorando in matematica, il suo passaporto racconta del suo trasferimento dalla Russia a Marsiglia, del suo rientro a casa una volta in 3 anni e della storia a distanza con una ragazza di Praga.

Ma sono le sue parole, nelle 3 lingue che parla, a raccontare molto di più sui suoi viaggi e a regalarmi una Russia autentica, intensa, colorata.

Con lui sperimento la cucina tipica in un ristorante chiamato Atmosfera.
Nessun nome fu mai più azzeccato: musica, colori e sapori perfettamente mescolati tra loro.
Ma, cosa ancora più sconcertante, è per lui che mi ritrovo davanti ai fornelli con pancetta, cipolla e pomodorini a preparare un piatto di Amatriciana. In Russia.

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Credo sia venuta bene, perché decide di fare da Cicerone e ci accompagna un pó ovunque.
Ovunque sia concesso camminare, è così che i piedi iniziano ad andare mentre i nostri racconti ci conducono da una città all’altra del mondo.

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Degustiamo 3 tipi diversi di Vodka (vuodka) accompagnati da 3 diverse specialità culinarie.
Ma mi dice che la vera bevanda tipica russa è un’altra e che non si può andare via senza averla provata.

Gli dico che mi fido ciecamente.
È così che ci ritroviamo, incantati dallo spettacolo che abbiamo di fronte, a sorseggiare una gelida Kvass, bevanda a base di pane mai incontrata prima dal mio palato e così tanto familiare per il suo.

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Non bastano delle parole, scritte, raccontate, ascoltate o anche solo bisbigliate.
Non riescono delle foto.
E non ci riesco forse nemmeno io a spiegarlo quel brivido che questa città che così tanto bramavo e sognavo di vedere, mi ha lasciato sulla pelle e nei ricordi.

Su una panchina a Londra c’è scritto “Everybody needs a place to think”.
Ecco, San Pietroburgo è quel posto.
Il mio.

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Quando ad un caffè, non puoi chiedere di più.

Adoro questo posto.
È stato un colpo di fulmine quando, per la prima volta l’ho visto a Parigi ed è amore ogni volta che lo incontro.

Le pain quotidien.
È un franchising, ma non sembra.
Ogni posto appare come unico a sè, autentico.
Un’atmosfera non riproducibile altrove.

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Ma non è per l’arredamento curato nel dettaglio o per le zollette di zucchero di canna grezzo (adooooro) che voglio raccontare di questo caffè e del perché è stato così tanto intenso.

Non solo, almeno.

Il motivo ha un nome, Ivan (con l’accento sulla I, ci tiene).
Russo, francese di adozione.

Vive a Marsiglia, che mi conferma essere una delle città più pericolose d’Europa, è lì per un dottorato in Medicina.
Inizia così la nostra chiacchierata… e finiamo con l’attraversare la Russia, ci spostiamo in Europa e mi racconta dei suoi viaggi di lavoro negli States.

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Ci sentiamo entrambi cittadini del mondo, e quando gli chiedo di indicarmi un posto dove mangiare cucina tipica Russa “perché nel mio modo di viaggiare, per capire veramente un posto, bisogna provare tutto…specialmente il cibo” lui dice essere pienamente d’accordo.

Il caffè si trasforma in un viaggio, in Francia ci invita a Grenoble e noi ricambiamo offrendogli ospitalità a Roma.
Ci spostiamo a Barcellona e Francesca gli spiega perché non le è piaciuta e del perché l’ha vissuta come una triste viaggiatrice.

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Ci spiega come mai Marsiglia è una città pericolosa, gli racconto che ho visto molti posti in Spagna e che adoro ogni suo angolo.
Ci racconta della tradizione del suo paese, quando in inverno si fa il bagno a -40 gradi: “si fa un piccolo buco nel mare ghiacciato e ci si immerge per 3 volte”
Parliamo dei vini francesi, della Carbonara e dell’Amatriciana.
Ci racconta che una buona vodka deve produrre almeno 3 effetti per essere considerata tale: deve far venir voglia di cantare, di distruggere il mondo e di non dormire.
(ci è successo anche con il peggiore alcool comprato ad un discount, ma questo non glielo diciamo)

Piuttosto gli raccontiamo del nostro lavoro, gli chiediamo di insegnarci qualche parola in Russo e ci spiega alcune cose dell’alfabeto cirillico.

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Con molta fatica decidiamo di alzarci e abbandonare questo angolo di felicità per iniziare una lunga, infinita passeggiata nei vicoli San Pietroburghesi.
La città si lascia conoscere, maciniamo km e non ce ne accorgiamo. Continuano i racconti e…avete presente quando vi ho detto che gli ho chiesto dove poter mangiare una buona cucina Russa?
Ecco, è finita che stasera sarà Amatriciana home made per tutti.
Ma questa, è un’altra storia.

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“Perché proprio in Russia?”

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Fino a qualche giorno fa la risposta a questa domanda era semplicemente il frutto di una sensazione. 

Oggi è qualcosa di più di un istinto e qualche diario di viaggio.

Oggi è l’imponenza di Mosca a salire sul palco e a spiegare il perché.

Dici imponente e pensi a monumenti massicci, grattacieli importanti, opere grandiose.
No, c’è di più.

Strade enormi, una Piazza Rossa così grande da fare spavento, centri commerciali che sembrano videogiochi.
Si, ma c’è di più.

L’imponenza di Grande Madre Russia.
Di un paese che sa di essere il più esteso al mondo e che non perde occasione per ricordartelo.
Una città che non si scomoda a parlare inglese (figuriamoci Italiano), fortemente radicata al cirillico, perpetuato ovunque.

Ma se il primo giorno ti senti perso, se alla prima corsa metro non sai in che direzione stai andando nell’odissea sotterranea che ti si palesa davanti dove nessuna indicazione appare chiara (nessuna)

La realtà è che basta far passare qualche ora, beneficiare del dovuto riposo e abbandonare le reticenze europee…per accorgerti che la metro di Mosca non è un campo minato con sole scritte nemiche, ma un museo sotterraneo capace di stupirti ad ogni fermata (oltre che in grado di portarti ovunque)

Che il mare è lontano ma ci sono mille modi per far vivere l’estate. 
Mosca è tanto, infinito verde ad ogni angolo della città e la possibilità di beneficiare di svariate pause relax tra una decina di km e l’altra.

È Park Kultury, per il giorno e via Arbat per la sera dove un pullman fatto pub diventa il posto più caratteristico per brindare con due birre e vivere il Sabato sera Russo.

È cibo non troppo invitante e un Cremlino meno entusiasmante di quello che immaginavo…
È pantalone rosso, abbinato a maglietta celeste e sandalo arancione (insomma, una moda non proprio all’avanguardia)
È una città dove le sigarette si vendono a 50 rubli (pari ad un euro) ma nascoste dietro ad un telo quasi fosse contrabbando.

È la sensazione che si tratti di una città non facile da capire e dove difficilmente lasci il cuore con un breve city-break…ma questa mia Mosca è pura serenità, lunghe camminate, giornate senza orari e intense riflessioni.

Quello che cercavo, di cui avevo bisogno.

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